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Trasgressioni a ferragosto (PRIMA PARTE DI DUE)

L’aeroporto Falcone-Borsellino era un brulicare di trolley trascinati di fretta, annunci all’altoparlante e odore di caffè bruciacchiato. Marina camminava tra la folla con il telefono stretto in mano, il pollice che saltava veloce da una chat all’altra.
Appena atterrata, amore — inviò ad Andrea.
Sei arrivata? Io sì — scrisse all’amica Danila, che se ne stava in giro per Parigi.
Troppo concentrata sullo schermo, non si accorse dell’uomo davanti a sé. Ci sbatté contro, il seno urtò contro le sue spalle.
«Scusami» disse d’istinto. Lui si voltò di scatto, lo sguardo rapido, quasi automatico, scese sul décolleté. «No ma figurati…è la prima volta che mi piace un tamponamento».
Marina colse l’occhiata e sbuffò, roteando gli occhi al cielo. Non aggiunse altro e lo superò, diretta verso l’uscita.

Il taxi la lasciò davanti al cancello bianco del villino di Danila, a Cefalù. Il sole era già alto, e il vestitino corto e scollato che indossava le aderiva leggermente alla pelle per via dell’umidità.
Recuperate le chiavi dal vicino indicato dall’amica, entrò.
Dentro, il villino era caldo e silenzioso. Sul tavolo dell’ingresso, un biglietto: Divertiti…ma non con il vicino, che è sposato. La calligrafia tonda e un piccolo cuoricino a fine frase erano tipici di Danila.
Marina sorrise tra sé, lasciò il trolley e iniziò ad abbassare le spalline del vestito mentre si avviava verso una tanto agognata doccia. Il tessuto le scivolò giù dai fianchi, rivelando la pelle già leggermente dorata. Il vestito le si impigliò ai tacchi — la solita pasticciona — e si piegò per slacciare le cinghiette delle scarpe, che lanciò vicino a sé per poi far fare un lungo volo al vestitino. Un passo dopo l’altro, si liberò anche delle mutandine che lasciò cadere vicino alla porta del bagno.

Aprì l’acqua fredda della doccia: il primo getto colpì il seno, facendole contrarre i capezzoli. Rimase immobile per un istante, respirando piano, lasciando che il fresco si diffondesse dalla pelle all’interno del corpo. Passò le mani sul collo, risalendo alla nuca, poi scese lentamente lungo i fianchi, seguendo la curva dei glutei e lasciando che le dita si insinuassero appena tra le cosce.
Le gocce le accarezzavano il ventre e si infrangevano contro il monte di Venere, per poi scivolare giù tra le gambe, unite e rilassate. Sciolse i lunghi capelli che, bagnati, aderirono alla schiena, scivolando come una seta pesante fino a sfiorarle le natiche. Inclinò il capo all’indietro, lasciando che l’acqua le lambisse le labbra socchiuse e si mescolasse al respiro caldo che le usciva dalla bocca.
Insaponò lentamente i seni, giocò con movimenti circolari, facendo scivolare la schiuma intorno ai capezzoli turgidi e indugiando su di essi finché abbandonò il destro per far scorrere la mano verso il ventre, superandolo e continuando oltre, proprio lì, dove il calore e il fresco si incontrarono in un brivido. Chiuse gli occhi, inspirando a fondo quell’aria densa di mare, sentendo il cuore batterle lento ma forte, assaporando il piccolo paradiso nato dal contrasto tra l’acqua fredda e la pelle ardente.

La mattina seguente, seduta su una sdraio con un libro aperto fra le mani, Marina stava già perdendosi tra le righe quando un’ombra si allungò sulla pagina. Sollevò appena lo sguardo, infastidita dal cambiamento di luce: c’era una figura che osservava la copertina. Poi sentì quella voce maschile, calda e vagamente ironica, rompere il silenzio.
«Se è interessante come la copertina…quasi quasi vado a vedere il film appena esce.»
Alzò lo sguardo, gli occhi azzurri che lo fissavano da sopra gli occhiali da sole.
«Ti dispiace?» gli disse Marina tornando subito al libro, infastidita dall’ennesimo disturbatore.
«Dispiace un po’ alla mia autostima. Non ti ricordi di me?»
Lei sollevò di nuovo lo sguardo, abbassò gli occhiali da sole e sì, lo riconobbe.
«Ma certo!» sorrise sarcasticamente. «Sei il tizio che ama guardare le tette delle sconosciute all’aeroporto.»
«Sì, e anche al mare» e di nuovo lo sguardo fece capolino sul seno procace su cui poggiava un sottile filo dei capelli neri di Marina, «però puoi chiamarmi Elio, per abbreviare lo dico. Metti che stai affogando, se devi star lì a gridare “aiutami tizio che ama guardare le tette alle sconosciute in aeroporto e al mare”, capisci bene che rischi la vita, anche perché io perdo pure il mio tempo a indossare i braccioli, il salvagente…»
Finalmente Elio riuscì a strapparle un sorriso. E non fu certo l’ultimo che Marina, in quelle ore, gli restituì.

Il resto della giornata lo passarono insieme, tra tuffi in mare e giochi in acqua, tra un gelato e una granita, la complicità tra i due cresceva di ora in ora, semplicemente, alternando sberleffi a veloci aneddoti delle proprie vite.
Dopo cena lo rivide al chiosco, con due birre in mano. Gliene porse una senza chiedere. Era con degli amici, ma, stranamente, con loro parlò poco, le sue attenzioni erano tutte dirette verso Marina che stava giocando col cagnolino di un’amica che l’aveva raggiunta. Anche lei lo controllava a distanza, ogni tanto, attenta a non farsi scoprire.
Quando tornò al villino, Marina passò la lingua sulle labbra come se volesse ricercare ancora il sapore della birra offerta da Elio. Sorrise. E se ne accorse.

I due si cercarono la mattina successiva, si trovarono. La spiaggia era ben viva nutrita di voci e risate.
Marina stava all’ombra dell’ombrellone, un libro in mano, quando Elio, appena uscito dall’acqua, le passò davanti e, senza preavviso, si scosse i capelli bagnati proprio sopra di lei.
«Ehi!» protestò, stringendo il libro per non bagnarlo.
«Ops…» fece lui, con un sorrisetto che non lasciava spazio a dubbi sul fatto che fosse un gesto calcolato. Si sedette accanto a lei, ancora gocciolante, e lasciò che lo sguardo scivolasse con disinvoltura verso il costume di Marina, uno spettacolo per i suoi occhi ingordi.
«Ma sicuro che i tuoi amici non sentano troppo la tua mancanza? Sentiti libero di andare a infastidire anche loro, eh.»
«Ti ignoro perché so che mi adori. Oh, ma lo sai che domani a pranzo con i miei amici ci facciamo una bella grigliata di pesce siciliano? Finalmente!» disse, allargando le braccia come se stesse annunciando un evento memorabile. «Non vedevo l’ora.»
Poi, inclinando la testa verso di lei, aggiunse: «Avevo pure pensato di invitare una siciliana…ma ne conosco solo una, ed è antipatica.»
Marina, senza alzare lo sguardo dal libro, replicò con finto distacco: «Quella siciliana lì, oltre a essere antipatica, è pure vegetariana. Quindi, secondo me, non avrebbe accettato.»
Elio rise. «Pure vegetariana? Meno male che è carina, guarda…perché i difetti li ha tutti.»
«Aspetta, aspetta…devo segnare sul diario che mi hai fatto un complimento» disse lei, voltandosi verso di lui con un mezzo sorriso. Posò il libro accanto a sé, poi si girò lentamente, lasciando che il sole le accarezzasse la schiena. Piegò un braccio sotto il viso, facendo scivolare i capelli su un lato, e slacciò piano il laccetto del costume, liberando la pelle alla luce. Corrucciò lo sguardo, scherzosamente. «Per celebrarlo, a pranzo potrei persino cucinare qualcosa per te. A tuo rischio e pericolo, ovvio.»
Gli occhi di Elio seguirono il movimento, soffermandosi sul sedere pieno e dorato dal sole. Un lampo malizioso gli attraversò lo sguardo. «Beh, se me lo chiedi così…accetto la sfida, ma se muoio, dico a tutti che è colpa tua.»
Andarono insieme a comprare il necessario. Tra i banchi affollati, una venditrice sorrise a Elio, indicando le cassette di pomodori. «Alla sua fidanzata diamo i pachino o i datterini?» Marina trattenne un sorriso, fingendo di concentrarsi sulla scelta di altro. «Pachino, grazie.» Elio le lanciò uno sguardo di traverso, ma non replicò.

Arrivati al villino, Marina si mise subito ai fornelli. Elio la osservava muoversi canticchiando, con i capelli raccolti, il costume ancora addosso e quella gonna così aderente che disegnava il suo culo alla perfezione.
«Se continui a muoverti così, rischi di farmi venire certe voglie» mormorò lui.
«Parliamo ancora del pranzo?» ribatté lei, voltandosi appena con un sorriso sornione. Riempì di nascosto un cucchiaio con del couscous e glielo lanciò addosso. Lui la guardò storto ma lei continuò a provocarlo «non avevi fame scusa?»
Lui prese un pomodoro, si avvicinò con calma dietro di lei, le mise la mano sotto il mento e lo strizzò proprio in mezzo ai seni.
«Visto che ti piacciono così tanto i Pechino.»
Lei lo corresse: «Pachino!» fingendosi scandalizzata dal gesto. Lui mosse ancora il pomodoro sulla spalla nuda di Marina e cominciò ad assaggiarlo dal suo corpo. «In effetti è molto buono.»
Strofinando il proprio bacino verso quello di Elio, Marina si girò e aggiunse «e adesso chi pulisce qui?» indicando con gli occhi le strisce e gli schizzi del pomodoro sulla sua pelle. Lui scostò col dito il costume e iniziò a leccarla. «Proprio lì era pulito, Elio» con un rimprovero scherzoso. Spostò con la mano la testa di Elio, lui scivolò con la lingua sul suo collo le afferrò la vita, la guardò per qualche secondo e le disse: «Hai ragione, sono un cafone, assaggia anche tu» e le baciò le labbra mentre il suo membro sempre più gonfio poggiava tra le cosce di Marina. I due si baciarono a lungo, le mani di lui passeggiarono sotto alla gonna di Marina, arrivando a stringerle quel bel sederino su cui tanto aveva fantasticato in quei giorni. Quando la bocca di lui scese di nuovo sul collo, Marina fece scivolare le sue mani sotto la maglietta di Elio, accarezzandogli la schiena possente, fino alle spalle.
«Ti voglio», le sussurrò all’orecchio. Lei camminò col corpo aderente al suo, spingendolo contro il tavolo da pranzo, gli sfilò la maglietta, portò la testa di lui più giù e gli permise, stavolta, di leccarla, liberamente.
«Dimmi che non hai messo una zucchina nei pantaloni» disse lei scendendo a toccare Elio in mezzo alle gambe.
«Ho un cazzo lì, va bene lo stesso? Ed è tutto per te. E sta diventando durissimo».
Continuarono a sentire la loro voglia, stretti, sudati. Lui sollevò le cosce di Marina attorno a sé, e stretti così la fece sedere sul tavolo.
Il respiro di entrambi si fece più veloce, i corpi ancor più vicini…in una danza di continuo cercarsi e scontrarsi.
Poi, sul tavolo, il telefono di Marina vibrò. Entrambi si girarono. Lo schermo illuminato mostrava due parole: Amore mio.
Elio cambiò espressione. Marina lo guardò, ma prese il telefono e rispose. «Andre…posso chiamarti dopo?»
Elio intanto aveva già raccolto la sua maglietta e stava uscendo dalla porta. Marina, chiuse con Andrea inventando una scusa. Gli gridò di aspettare, ma Elio non lo fece.
Gli corse dietro. Lo chiamò per nome, lui si fermò, attese che lei gli si mettesse davanti e le disse: «Guarda, non voglio essere il giocattolino di nessuno.»
«Hai ragione…avrei dovuto dirtelo.»
«Da quanto state insieme?»
«Quasi due anni e mezzo. Viviamo insieme in realtà.»
Il disprezzo negli occhi di Elio fu netto. La dribblò e andò via.

Martina