bella la cappella
“Accompagnami tu ti prego”, mi disse mio fratello il giorno prima di Ferragosto. Doveva andare nella casa in montagna della famiglia della sua ragazza con tutto il parentado al seguito. A me, credo, sarebbe venuto un attacco di panico, quindi decisi di essere gentile e di prenderlo per mano lungo questo viaggio.
All’ingresso del viale che conduce all’umile dimora, una statua di Madonnina: “Ave Maria” ci dà la sua benedizione e proseguiamo fino a raggiungere il giardino che funge da parcheggio e si affaccia su una vista mozzafiato del lago.
Ad accoglierci, oltre alla figlia, la madre, il padre e il micro cane. “Piacere, Giuliana.”
Bianca, mia cognata, corre tra le braccia del mio adorato fratellino, mentre io mi ritrovo con la signora che parla manco fosse in un programma radiofonico delle sette del mattino e il signore che mi fa una radiografia degna del miglior pronto soccorso. Indossavo un completo con shorts e top colorati. E che cavolo, almeno ad agosto fatemi mettere in mostra la fatica della palestra.
Il cane che abbaia, lei che continua i suoi discorsi e lui che mi fissa. Sento la testa nel pallone, come se mi avessero drogata: potrebbe essere una perfetta tattica per stordire e uccidere, ma per fortuna non è questo il caso.
Alessandra, la chiacchierona, mi prende a braccetto e tutti insieme ci dirigiamo verso un grande albero, sotto il quale è stato posizionato un tavolo. Mi offrono della birra fresca.
«Oh sì, grazie.»
Sì, cazzo, sì, datemi sta birra.
Non so cosa stiano dicendo e cosa io stia rispondendo. Sento solo che mi chiedono: «Vieni anche tu al pranzo di domani, vero? Prima andiamo a messa e poi ci troviamo insieme agli altri al ristorante. Sei la benvenuta.»
Con la coda dell’occhio vedo mio fratello Fabio che vorrebbe scoppiare a ridere. Io cerco di inventare mille scuse per rifiutare, ma questi sono peggio di una piovra gigante e, senza neanche accorgermene, accetto.
Avrei potuto dormire fino a mezzogiorno, avrei potuto partecipare a una grigliata in piscina con tanti ragazzi, avrei potuto fare tante cose e invece mi preparo per andare alla funzione e al banchetto. Non ho voglia di fare la finta santarella e decido di indossare un abito blu che si copre le spalle ma è molto aderente, e il cut out sull’addome che lascia intravedere l’ombelico lo rende molto sexy.
Riecco la Madonnina: «Ciao Maria, e che Dio me la mandi buona.»
Mi guardo nello specchietto, conto fino a cinque e scendo dall’auto.
A quanto pare devo aver capito male l’orario, perché c’è solo Corrado, il radiografo, ad attendermi.
Insieme raggiungiamo la cappella e restiamo sul fondo per non disturbare.
«Se tu vuoi sederti accanto a loro vai pure, figurati, io resto qui nell’angolino», ma lui mi risponde che preferisce stare lì, chissà perché non avevo dubbi.
Noia. Non so più cosa fare e a cosa pensare per non sbadigliare, poi vedo che mi tende la mano. Ah giusto, scambiatevi un segno di pace. Gliela stringo e lui non me la lascia, anzi, mi tira leggermente verso di sé e con l’altra mano mi palpa il sedere.
Dovrei essere infastidita ma ho troppo l’animo da porca e penso: hai capito la generosità cristiana? Bene, bene, voglio proprio fare una bella comunione e farmi benedire. Sorrido maliziosa e, approfittando del momento in cui tutti sono in ginocchio, infilo la mano nei suoi pantaloni che, grazie a Dio, hanno l’elastico e non la cintura. Quello che sento mi piace molto e comincio a giocarci, a stuzzicarlo con le dita, e poi lo prendo in mano cercando, per quanto possibile, di masturbarlo.
Suona l’ultima campanella e, a malincuore, ritraggo la mano.
«Dopo lo voglio, non mi interessa che scusa ti inventi, ma lo voglio e lo voglio qui.»
Non ricordavo più quanto fossero lunghe e noiose, ma finalmente: «La messa è finita, andate in pace». Usciamo e, nel giro di qualche secondo, siamo raggiunti da tutti.
«Alessandra!» esclamo con forse troppo entusiasmo. «Questa chiesetta è adorabile, avete fatto un ottimo lavoro di restauro. È un problema se entro ancora un attimo per guardarla meglio?»
Prima che lei mi possa rispondere interviene Corrado: «Se non è un problema ti posso fare da guida.» Bravo papi, ottimo assist. Rimaniamo d’accordo che ci troveremo direttamente al ristorante, rientriamo e ci chiudiamo il massiccio portone alle spalle.
«Allora? Me la mostri la cappella o mi devo mettere così, in ginocchio, e pregarti?»
Abbassa pantaloni e mutande contemporaneamente e io afferro la base del cazzo, gli sputo sopra prima di ingoiarlo tutto e iniziare a succhiare. I suoni gutturali e i suoi gemiti rauchi riecheggiano tra le pareti affrescate. Libero il membro dalle mie labbra e, guardandolo, passo la lingua sul glande, poi sulle palle.
Adesso però voglio che sia lui a fare qualcosa. Mi alzo, mi afferra per il braccio e, quasi correndo, percorriamo la navata fino alla prima fila di panchine. Mi siedo, arrotolo il vestito, allargo le gambe e sposto le mutandine invitandolo a leccarmi. Non c’è bisogno di parlare, solo di agire.
Infila le mani sotto le mie natiche sollevandomi leggermente e avvicinando così la mia fica al suo viso. La annusa inspirando rumorosamente e poi me la divora, mordicchiandola delicatamente, baciandola e lambendo le labbra e il buco del culo.
Sposto le gambe dalle sue spalle alle sue braccia, consentendogli così di prendermi in braccio e di impalarmi sul suo uccello. Mi stringo con le braccia al suo collo e, leccandogli il lobo dell’orecchio, gli sussurro di sbattermi, di sbattermi forte.
Mi appoggia all’acquasantiera per potermi dare colpi forti, poi finalmente ci spostiamo all’altare. Poggio i gomiti e il petto sulla superficie fredda e giro leggermente la testa per guardarlo. «Fottimi, Dio mio, fottimi come una troia.»
Sussulto e rido, più per la sorpresa che per il dolore, quando sento una potente sculacciata sulla mia natica destra. «Dio, inculami ti prego, lo so che non vedi l’ora di farlo.»
Lo ficca tutto dentro e mi chiava come se fosse posseduto e, intanto, con le dita stuzzica il mio clitoride. Sto godendo così tanto che a fatica riesco a contenere le grida di piacere e, ancora di più, quelle dell’orgasmo intensissimo che mi travolge.
Vedo il calice del vino santo e mi viene un’idea perversa: farlo eiaculare lì.
Mi sta ancora rompendo l’ano mentre glielo propongo; accetta e mi dice di succhiargli i coglioni mentre si sega. Mi accuccio e ciuccio finché non lo sento schizzare. Viene in modo vigoroso, proprio una di quelle sborrate che adoro. Aspetto che finisca e poi bevo e ingoio tutto.
Di corsa raggiungiamo il ristorante, almeno abbiamo una scusa per l’aspetto accaldato.
«Finalmente! Stavo mandando Bianca a vedere se fosse successo qualcosa. Ti è piaciuta?»
«Scusate, mi sono soffermata ad ammirare ogni dipinto e ogni angolo. Per non parlare della precisione dei decori dell’altare.»
Mi siedo e mi gusto ogni portata insieme alla scenetta della perfetta famiglia casa e chiesa, se solo sapessero che in mezzo a loro si è seduta la regina delle diavolesse tentatrici.
Devil Giuliana